Ricky Portera, tatuaggi da “bad motherfucker”

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Il chitarrista, tra i fondatori degli Stadio oltreché collaboratore storico di Lucio Dalla, alle prese con la sua passione per l’inchiostro: intervista tutta da gustare.
Il lampo mi arriva durante ’33 Giri – Italian Masters’, bella serie di documentari che vanno in onda proprio in questo periodo su Sky Arte e dedicati ai segreti nascosti dei dischi più preziosi dell’intera musica italiana.
Lo speciale su cui mi cadono orecchie e sguardo è incentrato su ‘Come è profondo il mare’, album di Lucio Dalla datato 1977 di una bellezza ancora oggi semplicemente abbagliante. Sullo schermo, ad un certo punto, compare un chitarrista dal look vagamente piratesco che non suonò su quel capolavoro, ma che eseguì quelle canzoni visionarie per anni all’interno di centinaia di concerti al seguito dell’indimenticabile cantautore/jazzista bolognese.
Ricky Portera, foto di Andrea Di BenedettoLe sue braccia grondano di inchiostro nero e il suo nome è Ricky Portera, uno dei fondatori degli Stadio e in forza alla band di ‘Chiedi chi erano i Beatles’ per buona parte degli anni ’80.
Da allora Portera ha intrapreso un percorso personalissimo fatto di dischi solisti, collaborazioni prestigiose (sempre Dalla, ma anche Loredana Bertè e Vasco Rossi) e piglio da rocker di razza. Con la febbre dei tatuaggi sempre presente nella sua vita. Ora è giunto il momento, su quest’ultimo argomento, di farsi raccontare tutto.
Ricky e la tattoo art: quando comincia esattamente la storia?
Tanti anni fa. Era il marzo del 1983 e stavo lavorando in studio ad un disco di Ron (‘Calypso’, ndr). Durante una pausa delle registrazioni, un mio amico all’improvviso mi fa: ‘Dai Ricky, andiamo a farci tatuare!’. Ed io: ‘Da chi? Ma dove?’. Perdonami l’innocenza, ma io all’epoca pensavo che i tatuaggi si facessero solo in galera! (ridacchia) Invece ci presentiamo da questo ragazzo corpulento di Bologna, tale Ciccio, ed io mi faccio fare una rondine vicino alla spalla. Tatuaggio che, per la cronaca, tenni nascosto per mesi a mio padre. Sai, lui era maresciallo in carica dei Carabinieri… (sorride)

Poi che succede?
Mi appassiono sempre di più alla materia dell’inchiostro e mi faccio tatuare tre piccole lettere orientali sullo stomaco, tributo di una mia vecchia relazione sentimentale. Non contento nel 2003, esattamente vent’anni dopo il mio battesimo del fuoco, aggiungo un drago sul braccio sinistro. Passa qualche tempo, non mi piace più e allora ci faccio battere sopra il simbolo della morte con tanto di scritta ‘Non mi sfugge nessuno’! (ride) Sul destro invece opto per un teschio alato e qui la frase di riferimento è ‘Oltre la morte’. Non contento aggiungo anche un piccolo pugnale sul medio della mano destra, quella con cui tiro le pennate sulla chitarra.
Scusa se mi intrometto, ma mi sembrano tutti tatuaggi da duro…
Vedo che mi hai inquadrato per bene… Sì, mi è sempre piaciuto abbracciare il rock, il rock pesante dei Led Zeppelin tanto per capirci, come uno stile di vita più che come un generico stile musicale. E perciò ben vengano questi tattoo grezzi, scontrosi, degni di uno come me che ha sempre amato prendere la vita di petto. Tatuaggi un po’ da guerriero o da ‘Grande Figlio di Puttana’ come scrisse bene Lucio Dalla in quel famoso pezzo degli Stadio…

Tatuaggi estremi un po’ come il tuo rapporto con il compianto Lucio, vero?
Esatto. Con Dalla, sul palco, si scatenava costantemente questo mix di odio e amore perché a tutti e due piaceva primeggiare di fronte alla folla, ma allo stesso tempo – musicalmente parlando – ci completavamo a vicenda. Il rocker da una parte e il cantautore innamorato del jazz dall’altra. Una miscela assurda, ma perfetta.
La morte, paradossalmente, perché?
Perché, di mio, non amo né il Tribale né i tatuaggi colorati. Io sono uno che va pazzo per il Traditional e quindi cosa c’è di più classico di teschi e tristi mietitori? La morte, come fenomeno naturale, non mi ha mai fatto paura. Ok, come tutti temo la sofferenza, ma un cuore che smette di battere lo vedo solo come un momento di sollievo definitivo. Come un riposare lontano dagli affanni quotidiani. I napoletani usano un’espressione – ‘Levate innanz’, ‘levati di mezzo’ – che non mi dispiacerebbe un giorno farmi tatuare appena sotto il collo. Ecco, la morte è solo un levarsi di mezzo per non prendersela più.
Mi citi qualcuno dei tuoi tatuatori preferiti?
Molto volentieri. Resto legato ad un artista messinese, Stefano del Popolo di Pelleinkiostro, perché le mie origini sono al 100% siciliane. Gli altri sono tutti tatuatori dei dintorni di Modena, ovvero la provincia in cui risiedo da tantissimi anni. E tra loro ci sono Mauro Ant Nest del Tatta Modena Ink e Davide Giacobazzi del Old Pic Tattoo.
Ricky PorteraSe dovessi mai farti tatuare il ritratto di un tuo collega chitarrista…
Beh, sarei indeciso tra Jeff Beck e Rory Gallagher, i miei due più grandi idoli in assoluto. Credo che alla fine opterei per il buon Rory, un po’ perché è scomparso da oltre vent’anni, un po’ perché senza la sua magica chitarra nella testa, dubito che oggi farei questo mestiere.
Che 2018 sarà per Ricky Portera? Stai lavorando ad un nuovo album solista?
No, coi dischi a mio nome ho chiuso. Tanto è inutile: ho sempre realizzato degli album bellissimi e molto vissuti (strepitoso, da questo punto di vista, il suo omonimo ‘Ricky Portera’ del 1990, ndr) che si sono filati in quattro gatti. Però se vuoi ti do uno scoop…
Non chiedo altro.
Forse l’anno prossimo si riformeranno gli Stadio nella loro formazione storica con me alla chitarra, Fabio Liberatori alle tastiere e ovviamente Gaetano Curreri. Non saremo un trio, giusto per fugare ogni dubbio, ma suoneremo nella classica line-up allargata. O perlomeno questa è l’idea che mi è stata proposta…
Avrei voluto chiederti di più, ma lo spazio è tiranno.
In quel caso lasci che ti consigli la mia biografia scritta da Paola Pieragostini e intitolata ‘Ci sono cose che non posso dire – Storie di vita di Ricky Portera’. Te la consiglio anche perché ha una copertina bella tatuata come piace a noi!

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